Un evento internazionale promosso dalla Fondazione della sostenibilità sociale e patrocinato dalla Società Italiana di Farmacologia (SIF) per ripensare la risposta alla malattia di Alzheimer nell’era delle terapie innovative: diagnosi precoce e appropriate governance dei sistemi sanitari al centro del dibattito.
- Oltre 55 milioni di persone nel mondo vivono con una forma di demenza, di cui circa 32 milioni con la malattia di Alzheimer: una sfida sanitaria, sociale ed economica globale.
- Nuove terapie all’orizzonte potrebbero cambiare il paradigma della malattia, ma ritardi diagnostici e rallentamenti nell’accesso alle cure rischiano di creare profonde disparità per i pazienti europei.
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, tra le principali cause di demenza a livello globale. Rappresenta una delle sfide sanitarie e sociali più urgenti del XXI secolo e i suoi numeri sono destinati a crescere in modo esponenziale nei prossimi decenni con un impatto pesante su famiglie, caregiver e sulla società. Entro il 2050, il numero di persone che vivono con la demenza potrebbe triplicare, raggiungendo i 152 milioni. Quali strategie e politiche dovranno essere messe in atto a livello internazionale per affrontare quella che è stata definita una vera e propria pandemia del nuovo millennio? A queste e molte altre domande tenta di rispondere l’evento “MIND THE FUTURE – A CROSS COUNTRY ALZHEIMER READINESS PACT”, promosso dalla Fondazione della Sostenibilità Sociale, con il patrocinio della Società Italiana di Farmacologia.
Cinque le delegazioni internazionali coinvolte, che hanno affiancato l’esperienza italiana portando il punto di vista dei rispettivi sistemi sanitari: Bulgaria, Estonia, Paesi Bassi, Spagna e Ungheria.
A partire dalle riflessioni e dai contributi raccolti nel corso della giornata, è stato elaborato un Manifesto che rappresenta una pietra miliare di cooperazione e preparazione collettiva, volta ad abbattere le barriere affinché si possa avere un percorso completo — dalla diagnosi precoce all’accesso equo alle terapie. Un documento che è il risultato di un confronto multilaterale e che intende trasformare le conoscenze condivise in azioni concrete, per costruire un futuro più giusto per le persone che convivono con la malattia.
Il messaggio condiviso a gran voce e raccolto nel Manifesto internazionale è la necessità di cogliere il momento per riconoscere l’impatto della malattia e rendere l’Alzheimer come priorità per abbattere le barriere che ostacolano un percorso completo dalla diagnosi alla cura.
“L’obiettivo principale – afferma Adele Patrini, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Sociale – è trasversale all’interno di un integrazione tra scienza, cultura, organizzazione ed etica in una chiave di lettura di sostenibilità sociale che traghetta il “fenomeno” salute in un panorama universale dove la cura non è un concetto medico ma espressione di libertà, ricerca, scambio di saperi , considerazione della persona, formazione e solidarietà: questa è anche l’impostazione delle giornate di lavoro, interattive e partecipate. Il risultato concreto che auspico è la costruzione di modelli che diano risposte ai bisogni attraverso tre pilastri fondamentali: multidisciplinarietà, personalizzazione e rete. Nello specifico ambito dell’Alzheimer dobbiamo cambiare il rapporto tra l’individuo, la società e la malattia, e lo possiamo fare solo condividendo idee e best practice nella costruzione di modelli innovativi.”
Per la prima volta abbiamo a disposizione terapie che possono modificare il decorso della patologia, già approvate in molti Paesi. L’Europa, però, fatica a garantire l’accesso, con ritardi che potrebbero rischiare di creare disparità di trattamento ai pazienti di diversi Paesi oltre che tempo prezioso per accedere alle cure. Garantire l’accesso e attuare processi regolatori efficienti e uniformi vorrebbe dire infatti offrire tempo, speranza e nuove possibilità a chi convive con la malattia di Alzheimer, rafforzando al tempo stesso la resilienza e l’attrattività del sistema sanitario.
“Per un supporto sostenibile ai pazienti Alzheimer – commenta Annarita Patriarca, membro della XII Commissione Salute e promotrice dell’Intergruppo Parlamentare per le Neuroscienze e l’Alzheimer, puntiamo a un modello integrato che potenzi la medicina territoriale e la formazione dei caregiver. Come intergruppo, stiamo lavorando per l’approvazione del Piano Nazionale Demenze e l’implementazione di servizi domiciliari più accessibili e qualificati. Il nostro impegno è per un futuro più sereno grazie a un approccio sinergico tra istituzioni, professionisti e famiglie”.
Un impatto tale da richiedere il coinvolgimento di tutti gli attori del sistema salute senza fermarsi quindi ai confini italiani, ma coinvolgendo tutti i Paesi europei chiamati a creare un ecosistema organizzativo armonico che tenga in considerazione la centralità del paziente e dei caregiver che ogni giorno si impegnano. In questo contesto, il confronto multilaterale con il coinvolgimento della società civile può contribuire ad implementare azioni specifiche in grado di garantire pari opportunità a tutti i pazienti a partire proprio dalla possibilità di avere una diagnosi precoce fino ad arrivare a terapie mirate e innovative.
“Al momento, i sistemi sanitari europei non sono sufficientemente preparati – dichiara Angela Bradshaw, Director for Research di Alzheimer Europe – né per risorse né per struttura, a integrare strumenti diagnostici basati sull’intelligenza artificiale per l’Alzheimer. Ma le difficoltà non si fermano qui: lo stigma e la scarsa consapevolezza che ruotano in generale intorno alla demenza impediscono alle persone di chiedere aiuto e di ricevere una diagnosi in tempi brevi. Per superare questi ostacoli, è fondamentale combattere i pregiudizi e promuovere una nuova cultura della comprensione. Solo così potremo costruire un contesto più accogliente, capace di favorire il coinvolgimento dei sistemi sanitari e di garantire ai pazienti la possibilità di fare progetti e di vivere con dignità e autonomia”.
Preparare l’ecosistema Alzheimer è quindi una missione complessa che richiede sforzi di organizzazione, dalla diagnosi precoce alla costruzione di percorsi assistenziali con équipe multidisciplinari formate ad hoc per gestire l’intero processo dalla diagnostica, all’assistenza e alla cura. Sono in campo però molte le buone pratiche — nel pubblico come nel privato, a livello nazionale e internazionale — che possono fare la differenza nel dimostrare che il cambiamento non solo è possibile, ma è già una realtà.
Oggi – commenta il Professor Massimo Filippi, direttore dell’Unità di Neurologia, al San Raffaele di Milano – disponiamo di strumenti diagnostici sempre più precisi e di terapie potenzialmente modificanti la storia naturale della malattia: proprio per questo è fondamentale garantire un accesso equo e tempestivo alla diagnosi e ai trattamenti, rafforzare i percorsi assistenziali e investire nella formazione e nella sensibilizzazione. Non possiamo – prosegue Filippi – permetterci di perdere l’opportunità di trasformare la cura dell’Alzheimer da assistenziale a terapeutica: è una sfida sanitaria, sociale e culturale che riguarda tutti.
Il messaggio che questo incontro tra esperti nazionali e internazionali ha lanciato oggi con un Manifesto internazionale, va quindi nella direzione di promuovere un impegno forte e unificato nell’affrontare sfide complesse come quella dell’Alzheimer, per un futuro più sano ma soprattutto più equo.
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